giovedì 13 dicembre 2007

Joyst!ck

Oggi parliamo di un pezzo di software molto appetitoso, annunciato nell’ormai lontano E3 del 2002. Prodotto da madre sicula e padre romano, è stato in sviluppo per ben sei anni, tanto da assumere per diverso tempo il poco onorevole appellativo di vaporware game. Un gioco che non esiste, destinato all’oblio, e ad animare piccole o grandi discussioni tra i giocatori più attenti e fedeli. In verità, assicurano i programmatori più vicini al progetto, il gioco era praticamente ultimato da tempo, ma non poteva sbocciare, mostrando le sue incredibili innovazioni in termini ludici. Mancava un motore grafico appagante, che potesse farlo ammirare e desiderare da tutti. Il vecchio motore è stato difatti soppiantato dalle nuove mode e conquiste nell’ambito tecnico in brevissimo tempo, quando ancora i programmatori stavano sviluppando un'IA rivoluzionaria, veramente aperta a tutti, destinata a soddisfare le più svariate fasce d’utenti, compreso l’ambito casual gamer, non desideroso di smanettare ore e ore prima di comprendere bizzarre meccaniche di gioco, o più semplicemente di ricevere un po’ di divertimento. Ora, dopo anni di gestazione e rinvii, Sara è una vera mignotta. Sempre agghindata come l’ultima delle veline, vanta una cura estetica invidiabile, che poco ha a che spartire con il vecchio motore poligonale che visualizzava il suo avatar come una bimba delle medie con gli occhiali spessi, e il grande seno nascosto agli occhi più indiscreti. L’IA, dicevamo. Adesso, Sara è abbastanza stupida e delusa dalla vecchia storiella del principe azzurro da darla a tutti, a patto che sei come quel divetto lì, o che il tuo portafogli sia più gonfio del tuo basso ventre. Ma si sa, non si può pagare la nuova generazione come la vecchia. E Sara, oltre a vantare una grafica da capogiro, con i suoi capelli mori, la bocca morbida, e un seno ingombrante e affascinante come un vecchio cabinato da sala, è incredibilmente giocabile. Dopo pochi livelli di preliminari, ove è talmente facile farla eccitare, che più che veri livelli paiono un tutorial mascherato, Sara ti concede di arrivare subito al mostro finale. Unico neo: il joystick che vibra, lo devi portare da casa. Possiamo asserire però, dopo aver terminato il gioco svariate volte, che è un ottimo compromesso. E la longevità? Nello scenario attuale, in cui anche i giochi più blasonati vantano una durata a volte limitata, Sara riesce a distinguersi. Perfetta per una partita occasionale, ma adatta anche a sessioni più lunghe e dure, Sara sprona alla rigiocabilità e rispolvera la vera anima dei giochi arcade, la corsa al punteggio migliore, da battere a suon di record, davanti, di sopra, da dietro, e in bocca. Inoltre (ma per i più potrebbe apparire quasi scontato) Sara è un inno al multiplayer più selvaggio. Oltre a supportare i canonici tre ingressi per joystick di varie fogge e dimensioni, Sara è aperta anche a nuove e più fantasiose esperienze, da sbloccare ingraziandosela con borsette griffate e smalti colorati, in un meccanismo non dissimile da quello presentato nella saga di Dead Or Alive Xtreme, ma estremamente più intuitivo e realistico. Infine (e questo è decisamente meno scontato) una fuga di notizie sul web, tuttora non confermata, asserisce che sia possibile sbloccare un bonus decisamente gustoso, l’attesa modalità a 16 giocatori, si, proprio come Halo 3, ma qui con la stessa copia del gioco. Noi di GameXtration continueremo a giocare per scoprire la verità e come sempre, saremo i primi ad informarvi. Non ci resta che congedarvi con le ultime impressioni. I programmatori stavolta si sono veramente superati. Tra cattive compagnie e le discutibili influenze dei media, Sara è cresciuta proprio bene, ed è una vera fortuna che per una volta la casa madre sia stata così disinteressata e lontana durante i periodi più travagliati dello sviluppo. Che aspettate allora, Sara la trovate sulle migliori strade! E tenete carichi i joystick!!

mercoledì 14 novembre 2007

Neverland: Uno sprazzo di vita in più

Schegge di legno mi riportano allo scontro bucandomi il cappotto; le sento appena, come delle zanzare succhiano poche gocce di sangue, cercando di lacerare la carne.
Il tavolo sta cedendo.
Pochi metri da me, prostrata a terra, impaurita come una gattina bagnata, una puttanella mora: quarta abbondante, curve tonde e morbide; andrà bene.
Mi tuffo, sparando all’impazzata: in una morsa esplosiva i miei revolver addentano le palle degli scagnozzi più vicini: difficilmente cercano di ucciderti mentre palpano i loro gioielli maciullati.
Cado vicino la donna, mi alzo e la tiro per i capelli, stringendola al petto. Cerca di dimenarsi, guaisce qualcosa dalle sue labbra siliconate:
- Ti prego, lasciami… sono brava di boc… -
- Zitta, troia. Ora sei il mio scudo umano - le sussurro, sfiorandogli i capelli con un bacio.
Devo sparare veloce, non reggerà molti colpi, anche se questi stronzi hanno una mira imbarazzante.
E’ calda, si sta bagnando, le sue viscere le colano sulle cosce, sporcando i miei pantaloni nuovi, rubati da pochi giorni.
Maledetta puttanella.
La lascio, la lascio stuprare da una gang bang di pistole eccitate, che vengono nel suo corpo in un fiume di pallottole. Povera bimba, era pure carina; il pensiero si spegne subito, ottenebrando la mia mente: la pietà è una lampadina facile a fulminarsi; mi butto all’indietro, sforacchiando i brutti musi dei miei nemici. Mi piace vederli affogare nel loro stesso sangue, inghiottire denti rotti e pezzettini di lingua.
Sono a terra, imbrattato di sangue non mio, rosso come una Ferrari, di quelle vincenti che seguo in tv. Come frecce d’argento smorte, pallidi per la paura, i ceffi ancora in vita lasciano i loro ripari in uno scatto fulmineo, un ultimo assalto disperato. Rimango radente al pavimento: è difficile centrarmi in questa posizione, e io non sbaglio un colpo. Li centro in fronte uno ad uno, ipotecando il titolo di questo macabro circus: uno sprazzo di vita in più.

Le mie nocche prudono troppo tardi: silenzioso come un predatore primitivo mi solleva afferrandomi per la gola; come in un film di supereroi mi lancia al centro del salone. Atterro su qualcosa di morbido, un materasso di cadaveri e frattaglie. Se non stessi soffocando riderei: questo stronzo ci sa fare. Mi carica, mi fustiga con calci sferzanti, sfondandomi qualche costola. Ho solo la forza di fissarlo: mi squadra, lacrimando dai suoi occhi biechi; mi prende ancora per il collo, stringendo la presa per uccidere...



Continua...

lunedì 22 ottobre 2007

Neverland 1/2

L’ultimo lo tengo per i capelli, frantumo la sua testa di cazzo sulla spillatrice della birra, una volta, due volte, tre volte, alla quarta gli partono gli occhi dalle orbite, solo allora stringo la presa sulle sue tempie squarciate, spillando sangue e cervella dal suo volto ormai violaceo, una cappella tumefatta pronta a esplodere.

- E’ antisghenicoo - sentenzia Spugna, mentre con una pezzetta sozza cerca di ripulire il suo bancone, un cimitero improvvisato, consacrato agli stronzi che mi volevano morto.
Ho fame, mi capita spesso dopo che scopo o dopo che uccido; allungo la mano su delle noccioline sparse per terra, mi giro verso i tristi habitué di questo buco di merda e grido:

- Ehi, è qui la festa!!! -

Odio chi non sa divertirsi; non rispondono, alcuni mi fissano battendo i denti, un paio sembrano svenuti, altri sono ancora in trance per la performance della piccola Trilli, che non vedo, starà arrotondando la paga sotto un tavolo o in qualche camerino.
Neanche il tempo di leccarmi le dita che le nocche mi prudono ancora: altri scagnozzi sbucano dal palco, sparando subito il loro repertorio, un sottofondo di pistole, accompagnate da un assolo di mitra.
Steccano spesso: artisti inesperti, hanno bisogno di un direttore d’orchestra come me, che li diriga al creatore.
Estraggo i miei revolver, ringhiando insieme a loro come un novello cerbero:

- Venite a prenderle, figli di puttana!! -

Scoppia un casino di prima classe.
Come criceti in gabbia, i falliti sotto il palco corrono per la sala, squittendo urla incomprensibili. Spugna abbraccia i cadaveri spiaccicati sul suo bancone, ingurgitando ettolitri di birra dalla spillatrice insanguinata. Forse non possono scappare, forse qualcuno ha serrato le porte e le uscite di sicurezza.
Non è un problema mio.
La confusione è un’alleata preziosa e inaspettata. Penetro nella mischia e come per magia, pallottole indirizzate a me sfondano crani e polmoni innocenti.
Non durerà a lungo: la fortuna è la classica troia che te la fa annusare e non te la dà. Con un calcio rovescio il tavolo che mi sembra più robusto, quello da pool, e mi accovaccio al sicuro; sento pallottole imprecise fendere l’aria, mancando il mio nuovo riparo, così mi unisco allo show: senza scoprirmi, concedo ai miei revolver di sparare gli ultimi colpi a cazzo di cane.

- Non è umano… sembra fatto d’acciaio! -
- Hai ragione, Russo! Io gli ho scaricato addosso un caricatore… e era anche maggiorato!! -
- Dovrebbe barcollare, sputare sangue come un operaio bolscevico, e invece… -
- Invece, moriremo tutti!! -

Li sento mentre si disperano. Menti deboli, cuori meschini; non c’è quasi piacere nel farli fuori.
Quasi.
Ricarico. Come bestie affamate, i miei revolver fagocitano i loro proiettili preferiti: li chiamano “scamiciati”, si frantumano al momento dell’impatto, dilaniando la carne e sgretolando le ossa; solo il meglio per i miei cuccioli.

Una luce abbaglia i miei occhi, un riflesso dorato, così la vedo; vedo una fatina librarsi tra la vita e la morte: è Trilli. Una patatina bionda, sporca di ketchup. E’ ferita, perde sangue dal suo culetto angelico; forse è stata colpita da una pallottola vagante, o che cazzo ne so: non andrà da nessuna parte in quelle condizioni, si trascina per la sala come una checca appena inculata, quando uno scagnozzo la carica sulle spalle. Ho una buona visuale da qui, potrei centrarlo in pieno petto, ma non lo faccio. In un battito d’ali entrano in un uno stanzino malcelato, che si richiude altrettanto velocemente.
La vogliono viva.


Continua...

lunedì 1 ottobre 2007

Neverland

- Seconda traversa a destra, e poi dritto fino a “Marino”, il baretto, quello dove ti danno gli avanzi del pranzo… lì di fronte c’è “Neverland” -

Alzo il finestrino senza ringraziare, il lurido barbone non mi serve più. Quand’ero bambino m’avevano insegnato a non far soffrire gli animali feriti; qualche spicciolo prolungherebbe soltanto l’agonia di questo storpio del cazzo. Accelero quel tanto che basta per mandare l’auto su di giri, alzo la frizione di scatto e travolgo il barbone in una sgommata violenta, lasciando una scia di sangue e gomme sull’asfalto; il cuore l’ho lasciato a casa, tra vecchie foto consumate e ricordi malati, dopati negli anni da troppa importanza.

Devo fare un fottuto lavoro, e devo farlo bene.

Mi addentro nel vicolo calpestando blatte e immondizia; spero di pestare presto qualcos’altro

- Ehi tu, stronzo… si, dico a te! –

Che cazzo di culo, un buttafuori desideroso di farla finita. Era ora, le nocche mi facevano male, mi prudevano dalla voglia di massacrare qualcuno.

- Sei in lista? O sei in lista o ti trovi una donna per entrare. Abbiamo già troppe mazze lì dentro –

- Mi spiace, ma non ho visto belle pollastrelle nei paraggi… a quanto sembra tua madre sta già ciucciando qualche grosso uccello… -

- Ehi, ma che cazzo!? –

Prova a sbattermi a terra sfruttando il suo peso. Pessima idea. Entro nella sua guardia, aperta come una puttana strafatta e gli sradico la carotide a mani nude.
- Però, se proprio lo vuoi sapere, tua sorella mi sta aspettando a fica larga – gli rido in faccia rumorosamente mentre il sangue zampilla dal suo collo grasso, disegnando qualcosa sul muro. Qualcosa di surrealista; mi ricorda il secondo Mirò, adoro quella roba.

Entro nel locale spintonando un po’ di stronzi. Che musica di merda. Un bel cesso intasato, ecco dove sono finito.

Mi siedo al bancone, uno stronzo mi guarda storto.
Cazzo, sono io.
Estraggo il mio fido revolver dal cappotto, abbaiando qualche raffica contro lo specchio. Non mi piace prendere brutti colpi.
Piove vetro.
Le schegge dilaniano qualche tetta svestita e qualche faccia tirata male.
Rido di gusto, quando il barman m’interrompe.
Flaccido, vecchio, il naso rosso a patata, l’espressione rubiconda.
No, non è babbo natale.
- Sonho Spugnaah, in cosha possho escheerle utilee? –
- Ho sete -
- Cosha beeve?
- Fai tu, tanto t’ammazzo lo stesso -
- A benee… allocha ci do sotto con queesto drink -
Mentre il vecchio ciccione fa roteare delle bottiglie in aria, nel disperato tentativo di rendersi simpatico, le luci calano, per poi spegnersi in una morte apparente.
Parte una musica sdolcinata.
Un po’ fuori tempo, le luci risorgono.
Le bottiglie del vecchio baciano il pavimento, struggendosi per quel che hanno visto, la sua mascella sbava sul bancone tra sputi e alcol rovesciato.
E’ Trilli.
Una patatina bionda, tutta da mordere.
Inizia a ballare lasciva, sembra quasi sciogliersi in una padella piena d’olio, un palco grondante di bava, vomitata dai falliti ai suoi piedi. Una massa di bimbi sperduti in piena tempesta ormonale.
Trilli è vestita da fatina. Oddio, vestita. Indossa un tanga verde minidotato che gli fascia il suo culetto appetitoso, delle stelle luminose gli coprono i capezzoli bruni, delle comete turgide pronte ad esplodere dal desiderio. Pietre preziose e una spruzzata di brillantini ornano le sue gambe sinuose, perfette, un tesoro da sogno che forse non appartiene a nessun sultano. Sulla sua schiena, levigata come seta, si librano delle ali dorate. Sembrano svolazzare in un battito innocente, animate dalla stella luce che percorre il suo sorriso, ma solo uno sciocco potrebbe pensarlo davvero. Quelle ali posticce, di plastica, sbattano solo grazie alle sculettate, ora assatanate, della piccola, dolce Trilli. Avrà al massimo 13 anni; provo pena per quei porci pervertiti sotto il palco.
Rivoli di bava mi colano dalla bocca, finché il mio senso di ragno pizzica: le nocche mi prudono di nuovo.

- E’ quello lì! Quello seduto al bancone tra i pezzi di vetro… ha ucciso lui Carl! –

- Ok… cazzo quanto è grosso, chiama gli altri, non possiamo farcela da soli –

Mando giù il cocktail che il buon Spugna mi ha preparato con amore. Sa di piscio.
Glielo sputo in faccia, come per cacciare il cattivo sapore.
Poi mi alzo, facendo schiantare lo sgabello a terra ed estraggo i miei revolver, pronti a mordere come cani rabbiosi.
- Offree la cashaa – mi dice Spugna, tremando come un cazzo di malato. Ha paura di me, non capisco, ho cercato d’essere buono con lui. Cerco di calmarlo: – Dai quella merda non era poi così schifosa, potrebbe andare bene per sturare un cazzo di cesso – ma non ho questo lusso. Mi ritrovo circondato da quanti più stronzi potessi mai desiderare. Un fottuto piccolo esercito. Gli occhi mi lacrimano… non riesco a trattenere una risata diabolica, compiaciuta; finalmente la serata inizia a girare per il verso giusto.


Continua…

venerdì 21 settembre 2007

Lezioni di piano #1

Inizio ad avere un po' di nostalgia del corso di sceneggiatura che ho frequentato la primavera scorsa e visto che sono riuscito a rientrare in possesso dei dati del mio defunto portatile, beh, posto qualche esercizio in classe fatto sotto gli insegnamenti del mitico Prof. Lorenzo Bartoli, approfittandone per salutarlo in caso passasse da qui!!!


L'altalena

Non mi assillano più. I pensieri accettano lo sfratto improvviso di buon grado, abbandonando celermente il pianerottolo della mia mente. Finalmente sono libero. Dondolo, dondolo sull’altalena. La brezza fredda usa la mia fronte come cordolo. Sono calvo da anni. L’orizzonte è scuro, ma il mio ottimismo si fa sempre più chiaro. Mi piace stare qui. A poche ore dall’alba. Lontano dalle luci della città. Qui in questo parco dove solo i bambini possono entrare, anche a trenta anni.


Lo spuntino

Torno a casa alle quattro. Troppo presto per fare colazione. Troppo tardi per dormire. Deambulo verso la cucina e come uno zombi afferro un pezzo di pane avanzato dalla cena. Perché fermarsi al pane. Apro il frigo in cerca di una preda. Ne trovo più d’una. La maionese. Così morbida, ma anche così sporca. La donna perfetta. Un po’ di pollo già cotto chissà da chi. Sono uno che sta attento alle calorie io. Mi fermo qua. L’insalata è scomoda da tagliare. E io voglio solo il lato piacevole della vita. Crunch!


Il lampadato

Lampadato. Vestito con le marche dell’ultimo divetto della tv. Tanto con il grembiule alla cassa siamo tutti uguali. Dio, comprate qualche crema solare, così inizierà a massaggiarsi in diretta. Anche se è il cinque gennaio. Su dai, parla del calcio malato. Di che squadra sei diventato, eh? Non siamo più della Juve? Lampadato! Senza palle. E devo lavorarci cinque giorni su sette.

mercoledì 19 settembre 2007

Occupato (Primo Rotolo)

Passano i minuti e Rocco è sempre sulla tazza; leggere al bagno ha i suoi vantaggi:

- ROOCCOOO, stai studiando? Quand’è che studi!? -
Una pallottola vagante fende il silenzio, una voce squillante, isterica. E’ Luana, la madre di Rocco. Armata di folletto ultima generazione, bardata nella sua vestaglia preferita: a tema floreale. Per mimetizzarsi tra le piante di casa e spiare il nemico.
- Mamma, sto cercando di svegliarmi –
Il ragazzo è in trincea. Aldilà del fosso l'aspirapolvere della madrepatria traditrice inizia a ruggire, risucchiando qualche grammo di sporcizia nelle sue fauci d’alluminio…
- E’ l’una, Rocco!! Perché sei uscito ieri sera? -
... ma Rocco è un soldato esperto; i rumori assordanti dello scontro non possono distrarlo.
- Era sabato sera! Tutti i ragazzi escono il sabato sera! –
- Con chi sei uscito? Non mi dici mai dove vai! -
- Con chi vuoi che esco!? Mi sono visto con un amico -
- Non è che fate cose strane? -
- Senti, ho 23 anni, non ne ho 16! Poi… Roberto è un ragazzo tranquillissimo -
- Roberto? CIRINCIONE!? Non mi è mai piaciuto quel ragazzo, ha il naso storto! -
- E basta, “SPRUUT” lasciami in pace!! -
- Stasera non esci! -
- Si, brava! Vedi di andartene a “SPRUUT” -

Le scuregge di Rocco coprono i passi pesanti di Luana.
Rocco ha vinto la battaglia, ma non la guerra. Lo sa bene. Come sa che non può rimanere seduto tutto il giorno. La gamba sinistra inizia a formicolare. Si è addormentata, come sempre. Un’ora sulla tazza sarebbe troppo anche per un fachiro indiano. Rocco si alza, trascinandosi quel tanto che basta per liberarsi dal torpore.
- Oggi avrò battuto il record! Di sicuro è più lungo di 30 cm! - pensa divertito. Ma nel water vi è solo qualche striata, ben prima dell’acqua sporca, un acquario d’urina senza pesci. Rocco è interdetto. Non ha tirato lo sciacquone ed è sicuro di averne fatta tanta. Improvvisamente una fitta. I suoi peti rumorosi l’avevano ammonito. Rocco ha appena il tempo di sedersi ed è… GOAL!! Scatta in piedi, un’occhiata fulminea: doppietta. Un buon passivo, ma Rocco è uno che dà spettacolo. Si risiede, felice, con il suo fumetto in mano. Federica gira le pagine; quando Rocco legge raramente ha altri pruriti. Immerso nella lettura, Rocco si estrania. Non sente i genitori discutere con foga in soggiorno, il suo telefonino squillare in cameretta… non sente l’acqua ribollire sotto di lui, come se qualcosa potesse respirare lì, nel fondo della tazza.
Degli schizzi d’acqua sporca gli bagnano il sedere. E’ piacevole. Grosso, sbatacchia sulle sue chiappe molli. Una mano delicata, che benevola lo accarezza. Più piacevole della scorsa settimana. Rocco sogna ad occhi aperti. Eccitato, confonde le sue fantasie con la realtà; immagina una lingua languida insinuarsi tra la carne, leccando con passione il suo sfintere anale. Viscido, secerne pus da pori rugosi. Rocco geme; nessun uomo l’ha mai lubrificato così. Federica lascia cadere il fumetto e si dimostra l’amica di sempre. Turgido come un membro affamato, è pronto per la penetrazione. Non deve rilasciare molto liquido dalle sue ghiandole malate. Il passaggio è agevole; l’ano di Rocco è come slabbrato, già aperto.
- Strano. Solitamente è così facile solo per i mammiferi di sesso femminile - pensa il Verme.
Essere senziente, animato da un tormento primordiale, il Verme - SFONDAMI IL CULO! - urla Rocco, reso infermo di mente dal desiderio e presto, infermo e basta. Dicevamo… il Verme ora è dentro Rocco, ha bisogno di lui per vivere, nutrendosi delle sue bassezze, dei suoi scarti; come le sue feci, un modesto aperitivo dal retrogusto transalpino. Così si contorce in un movimento pelvico, stimolando con maestria la prostrata del suo nuovo ospite, donando un reciproco e perverso piacere. Dalla sua pelle, simile ad una mucosa, fuoriescono filamenti nervosi che irradiano il retto di Rocco, provocandogli spasmi fortissimi. Come un amante capriccioso, il Verme prosciuga la vita del suo amore; Rocco sviene, vittima di un orgasmo letale.
Federica, ormai, ha fatto storia.


Continua… “sspruUUTT”

giovedì 28 giugno 2007

Paura di vivere

La sua lingua sta facendo judo con la mia. Lascia la presa e con i denti mordicchia le mie labbra, poi mi bacia seguendo il ritmo dei nostri gemiti. Le accarezzo i capelli, la mia mano scende sul suo collo, finché non le cingo la gola e la bacio con trasporto. Il rumore dei clacson ci riporta alla realtà. Il semaforo è verde. Ingiurie e strepiti fanno da colonna sonora ad un altro bacio. Supero l’incrocio. Lei ride contenta. Stiamo bene insieme. Spesso mi distraggo dalla guida per perdermi nei suoi occhi lucidi, strade bagnate dal piacere e dal desiderio. Sentieri di una terra in cui nessun uomo ha ancora scoperto l’america. Io non sono andato più avanti dell’india; con una battuta sprezzante, la sua voce calda ed autorevole, mi provoca. Sa che non posso smettere di fissarla. Domandarsi cosa pensa in questi momenti sarebbe come chiedersi perché viviamo. O perché moriamo. Cose per cui non vale la pensa sforzare i propri neuroni. E’ un attimo. Una prostituta attraversa la strada. Come un gatto avanza veloce, incurante del mio procedere. Riesco a rallentare, ma una 206 nera mi supera invadendo l’altra corsia. Non ha la mia fortuna. Il rumore è assordante, l’impatto grottesco. La prostituta viene aperta letteralmente senza provare piacere. Si spalma sul cofano della 206 come una salsa di sangue e organi su una tartina di lamiera. Le sue gambe si frammentano. Il seno impatta violentemente contro il parabrezza dell’auto nera. Il busto si squarcia vomitando pus e viscere, il collo si spezza come la gamba di una sedia sotto il peso di un obeso, la sua testa dai capelli mori rimbalza via; un’oliva nera che cade da una tartina ripugnante, che un sadico chef di nome Dio ha preparato con cura. La mia ragazza è sotto shock. M’intima di fermarmi, strilla, sbraita. Io non riesco a sentirla. Voglio andare via. Non voglio essere coinvolto. Non voglio aiutare nessuno. Continuo a guidare e scivolo via nella notte. Lei non parla, non mi parla più; la fisso? I suoi occhi sono strade senza uscita, ponti ancora in costruzione sospesi nel vuoto. Scivolo, scivolo nella notte. Intorno a me i rumori sono strilli di un muto. Sono stanco, non ho più le forze. Il volante è pesante, pesantissimo; sto facendo a braccio di ferro con Schwarzenegger o forse con Stallone e non posso vincere. Non sono più al top. Vorrei essere incitato dalla mia ragazza. Sento dolore. Avrei bisogno del suo tifo. Un dolore lancinante. Cerco il suo sguardo. La notte si fa chiara. Apro gli occhi. E fisso i suoi. Sono gonfi, i capillari sono esplosi, le cornee sono foglie spezzate in un lago di sangue. Il piercing sul sopracciglio destro le ha sfregiato lo zigomo. Il suo dolce naso a patata è sbucciato. Desiderava da tempo un intervento di rinoplastica. La cartilagine è disossata, uno sformato al sugo rivoltante. Le sue labbra morbide sono airbag forati, ornati da denti rotti. Dalla sua bocca, che ho adorato per mesi, escono urla di dolore. E imprechi: “Brutto stronzo, che cazzo hai fatto?” La realtà è accecante. Mi volto, non posso vederla in questo stato. Il mio sterno è squarciato dall’albero dello sterzo, che riposa nell’addome, stretto dalle budella. Le mie braccia non rispondono più, gli avambracci sono spezzati, piegati in modo innaturale. Non provo neanche a muovere le gambe; i pantaloni sono lerci, l’intestino si è liberato senza permesso. Piango. Mentre capisco. Il mio corpo si dissangua, rilascia urine, la faringe non impedisce ad un macabro rigurgito di unirsi allo show. Capisco cosa è successo. I miei occhi grondanti per il rimorso si voltano di nuovo verso il mio amore. Ho ripreso conoscenza per assistere a quest’orrore. L’orrore di chi, ha paura di vivere. Ho sempre temuto la morte, più di chiunque altro. Una fottuta fobia. La mia mente si suggestiona e perdo i sensi in un perverso meccanismo d’autodifesa. La prima volta avevo pochi anni. Fu per un incidente d’auto. Come quello di stanotte. Una prostituta dilaniata da una 206 nera intenta a sorpassarmi. Non sono riuscito a togliermela dalla testa. Sono svenuto metri dopo, perdendo il controllo del veicolo e…

E’ buffo come sono lucido in questi lenti istanti. Non posso smettere di fissarla. Sicuro come la morte.