mercoledì 14 novembre 2007

Neverland: Uno sprazzo di vita in più

Schegge di legno mi riportano allo scontro bucandomi il cappotto; le sento appena, come delle zanzare succhiano poche gocce di sangue, cercando di lacerare la carne.
Il tavolo sta cedendo.
Pochi metri da me, prostrata a terra, impaurita come una gattina bagnata, una puttanella mora: quarta abbondante, curve tonde e morbide; andrà bene.
Mi tuffo, sparando all’impazzata: in una morsa esplosiva i miei revolver addentano le palle degli scagnozzi più vicini: difficilmente cercano di ucciderti mentre palpano i loro gioielli maciullati.
Cado vicino la donna, mi alzo e la tiro per i capelli, stringendola al petto. Cerca di dimenarsi, guaisce qualcosa dalle sue labbra siliconate:
- Ti prego, lasciami… sono brava di boc… -
- Zitta, troia. Ora sei il mio scudo umano - le sussurro, sfiorandogli i capelli con un bacio.
Devo sparare veloce, non reggerà molti colpi, anche se questi stronzi hanno una mira imbarazzante.
E’ calda, si sta bagnando, le sue viscere le colano sulle cosce, sporcando i miei pantaloni nuovi, rubati da pochi giorni.
Maledetta puttanella.
La lascio, la lascio stuprare da una gang bang di pistole eccitate, che vengono nel suo corpo in un fiume di pallottole. Povera bimba, era pure carina; il pensiero si spegne subito, ottenebrando la mia mente: la pietà è una lampadina facile a fulminarsi; mi butto all’indietro, sforacchiando i brutti musi dei miei nemici. Mi piace vederli affogare nel loro stesso sangue, inghiottire denti rotti e pezzettini di lingua.
Sono a terra, imbrattato di sangue non mio, rosso come una Ferrari, di quelle vincenti che seguo in tv. Come frecce d’argento smorte, pallidi per la paura, i ceffi ancora in vita lasciano i loro ripari in uno scatto fulmineo, un ultimo assalto disperato. Rimango radente al pavimento: è difficile centrarmi in questa posizione, e io non sbaglio un colpo. Li centro in fronte uno ad uno, ipotecando il titolo di questo macabro circus: uno sprazzo di vita in più.

Le mie nocche prudono troppo tardi: silenzioso come un predatore primitivo mi solleva afferrandomi per la gola; come in un film di supereroi mi lancia al centro del salone. Atterro su qualcosa di morbido, un materasso di cadaveri e frattaglie. Se non stessi soffocando riderei: questo stronzo ci sa fare. Mi carica, mi fustiga con calci sferzanti, sfondandomi qualche costola. Ho solo la forza di fissarlo: mi squadra, lacrimando dai suoi occhi biechi; mi prende ancora per il collo, stringendo la presa per uccidere...



Continua...